C’è un momento nella vita in cui ti guardi allo specchio e non ti riconosci più.
Non è che stai male. Non è che ti manca qualcosa, almeno in apparenza.
Ma senti che dentro… qualcosa si è spento.
Ti senti stanco. Senza uno scopo. Come se stessi vivendo una vita che non ti appartiene.
Ho vissuto un momento simile più di dieci anni fa.
Avevo un lavoro a tempo indeterminato, una casa in affitto, una relazione che andava bene, avevo tanti amici e ogni weekend mi rilassavo o andavo da qualche parte.
Ma sentivo come se tutto quel mondo che mi ero costruito non fosse davvero in sintonia con la mia anima.
Ogni giorno era un compromesso. Ogni giorno dicevo un piccolo “sì” a qualcosa che forse non volevo davvero.
Era come vivere in un film in cui ero l’attore protagonista, ma non avevo scelto io il copione.
Tutti intorno a me vedevano una vita che funzionava: lavoro sicuro, relazione stabile, vita sociale attiva.
Ma io sentivo di recitare una parte che non mi apparteneva.
Mi alzavo la mattina e sapevo esattamente cosa avrei fatto: colazione, lavoro, pausa pranzo, lavoro, casa, cena, tv, letto. E poi tutto ricominciava.
Un loop infinito che mi stava lentamente svuotando dall’interno.
Fino a quando, un giorno ho deciso di cambiare quel mondo e di mollare tutto.
Ma non lo facevo per fuggire. Volevo solamente partire e ritrovarmi.
Quella decisione non è arrivata all’improvviso.
È stato un processo graduale, come quando l’acqua lentamente erode una roccia.
Ogni giorno che passava, sentivo sempre più forte quella voce che diceva: “Così non può continuare.“
La scelta
Quando dici “lascio tutto e parto”, la gente pensa che tu stia scappando.
In realtà, stai tornando a casa.
Solo che quella casa non è un luogo fisico.
È una versione di te che avevi dimenticato.
Io sono partito con uno zaino, un biglietto di sola andata per la Thailandia e un blog chiamato “Nomad is Beautiful“.
Un nome nato da un’intuizione mentre meditavo: che la bellezza sta nel movimento, nell’impermanenza, nella scoperta continua di sé attraverso il mondo.
E così ho iniziato a viaggiare, all’inizio insieme alla mia compagna, poi da solo.
Ho vissuto in Asia, in Sud America, in Europa dell’Est.
Non avevo un piano. Avevo solo una voce interiore che mi diceva: “segui ciò che ti fa sentire vivo”.
E lungo la strada, una cosa è diventata chiara: alla fine, non si tratta di dove vai, si tratta della persona che diventi mentre ci vai.
Ma prima di quella partenza fisica, c’è stata una partenza interiore. Il momento in cui ho guardato in faccia la mia vita e ho detto: “Questo non è abbastanza.” Non perché fosse sbagliata, ma perché non era mia.
Ricordo ancora il giorno in cui ho comprato quel biglietto per la Thailandia. Ero seduto davanti al computer, la carta in mano, e tremavo. Non per l’eccitazione, ma per la paura.
Perché comprare quel biglietto significava ammettere che la vita che avevo costruito non mi bastava più.
I miei genitori erano preoccupati: “Ma sei sicuro? Dove vai? Hai un lavoro fisso!” I miei amici erano perplessi: “Tu non stai bene, stai facendo una pazzia.”
E anch’io, a volte, mi chiedevo se non stessi facendo davvero una stupidaggine. Anch’io avevo i miei dubbi.
Ma quella voce dentro continuava a ripetere: “Non puoi più fingere di essere felice. Non puoi più accontentarti di una vita a metà.“
E poi… son salito su quell’aereo e son partito.
La perdita e la rinascita
La prima nazione è stata appunto la Thailandia.
Ricordo l’impatto di Bangkok: il caos, il caldo, i profumi di street food, le luci al neon. Tutto era diverso, tutto era nuovo.
E per la prima volta dopo anni, mi sentivo completamente presente.
Ma attenzione però: il viaggio non è sempre romantico. Non è solo tramonti su spiagge tropicali e caffè in coworking a Bali.
Ci sono state notti in cui dormivo su letti scomodi, in stanze umide, in città in cui non conoscevo nessuno.
Dopo essermi lasciato con la mia ragazza ci sono stati momenti di solitudine così profondi da chiedermi se avessi sbagliato tutto e se non fosse stato meglio tornare indietro.
Eppure, è proprio lì, in quegli spazi di silenzio, che ho iniziato a conoscermi davvero.
Ho perso tutto ciò che credevo di essere.
Ho perso certezze, abitudini, punti di riferimento.
Ma ho guadagnato una cosa preziosa: la libertà di riscrivere la mia storia.
E questa libertà, se la vuoi davvero, ha un prezzo.
Il prezzo di lasciare andare tutto.
Di sentire il vuoto.
Ma in quel vuoto… solo lì, c’è lo spazio per ritrovarti.
Per rinascere.
Ricordo una notte particolare in un piccolo paesino al sud del Vietnam.
Ero in un ostello rumoroso, non riuscivo a dormire, e ho iniziato a piangere. Non di tristezza, ma di paura. Paura di aver fatto la scelta sbagliata, paura di non farcela, paura di essere completamente solo.
Ma in quel momento di vulnerabilità totale, ho sentito qualcosa che non sentivo da anni: ero vivo.
Completamente, intensamente vivo. Non stavo più sopravvivendo alla mia giornata, la stavo vivendo.
In questi anni vissuti da nomade digitale ho perso molte cose.
Ho perso la sicurezza del lavoro fisso.
Ho perso la comodità della routine.
Ho perso alcune amicizie che non hanno retto alla distanza.
Ho perso l’illusione di avere tutto sotto controllo.
Ma ogni perdita era anche una liberazione.
Ogni cosa che lasciavo andare creava spazio per qualcosa di nuovo.
Ogni certezza che crollava apriva una possibilità inaspettata.
E ho capito che spesso quello che chiamiamo “perdere tutto” è in realtà “liberarsi di tutto quello che non serve.”
Il ritorno a sé
Partire per un viaggio a tempo indeterminato significa trovare il coraggio di guardarti dentro.
Di ascoltare la voce che da troppo tempo hai messo a tacere.
Che hai nascosto nell’armadio, sotto il tappeto, o sotto il cuscino mentre piangevi.
Nel mio caso, quella voce mi diceva: “Non sei nato per stare chiuso in questa gabbia. Non sei fatto per vivere una vita programmata. Tu hai bisogno di aria, di luce, di possibilità, di camminare.“
E allora ho trasformato quel bisogno in lavoro.
Ho messo su un blog, ho imparato a creare, mi sono dedicato alla scrittura, alla fotografia, al video, al podcast.
Poi ho creato occasioni d’incontro, gruppi online e offline. Ho iniziato a fare consulenze e anche un videocorso, l’Accademia Nomadi Digitali, e con questi progetti aiuto centinaia di persone a fare lo stesso salto.
Non perché io sia un guru.
Ma perché anch’io, come te, all’inizio, ero maledettamente bloccato.
Avevo paura e anch’io non sapevo da dove cominciare.
Ma quella paura è stata l’energia che ha fatto crescere il mio coraggio.
Passo dopo passo. Facendo azioni concrete.
Sai da dove si comincia? Da una scelta.
Una piccola scelta ogni giorno che ti porta ad un’azione concreta.
Anche piccola, ma che è tua e ti riporta a te.
Che ti ricorda chi sei.
Che ti spinge a partire, anche solo simbolicamente, da tutto ciò che ti sta stretto e che ti è stato imposto.
Ma il vero ritorno a me stesso non è avvenuto in un posto specifico.
È avvenuto in movimento.
Ogni Paese mi mostrava un pezzo diverso di chi ero.
L’Asia mi ha insegnato la pazienza.
L’America Latina mi ha insegnato la passione.
L’Europa dell’Est mi ha insegnato la resilienza.
Ho iniziato a documentare questo processo su un blog, una canale YouTube, su Instagram, non perché pensassi di diventare famoso, ma perché avevo bisogno di dare un senso a quello che stava succedendo.
E piano piano, questi contenuti sono diventati una missione: aiutare altri a fare lo stesso percorso, a conquistare la propria libertà.
Ma soprattutto in questi anni, ho imparato che il viaggio più importante non è quello che fai fuori, ma quello che fai dentro.
Puoi girare il mondo e rimanere sempre la stessa persona. Oppure puoi non muoverti mai da casa tua e trasformarti completamente.
Il movimento esterno, alla fine, è solo un catalizzatore per il movimento interiore.
Il valore dell’impermanenza
Vivere in movimento ti insegna una lezione fondamentale: niente è permanente. E questa non è una cosa triste, è liberatoria.
Quando capisci che tutto cambia, smetti di aggrapparti disperatamente alle cose.
Smetti di avere paura del cambiamento. Anzi, inizi ad abbracciarlo.
Ho imparato a vivere con poco. Non per necessità, ma per scelta.
Perché più cose possiedi, più cose ti possiedono.
E io volevo essere libero di muovermi, fisicamente e mentalmente.
Questa leggerezza non è solo materiale. È anche emotiva.
Quando smetti di aggrapparti a come le cose “dovrebbero” essere, inizi ad apprezzare come sono.
Quando smetti di resistere al cambiamento, inizi a fluire con esso.
E in questo flusso, ritrovi una parte di te che forse avevi dimenticato: quella parte che sa adattarsi, che sa reinventarsi, che sa trovare casa ovunque.
Un atto di coraggio
Partire per ritrovarsi non è fuggire. È un atto di coraggio.
È urlare: “Io non mi accontento di sopravvivere, io voglio vivere, e vivere davvero!“
E forse, la persona che stai cercando di diventare… non si trova in una nuova città, in un nuovo lavoro o in una nuova relazione.
Forse quella persona è semplicemente nascosta sotto gli strati di quello che non sei e che non vuoi più essere.
Devi solo fare spazio.
E partire ti aiuta a ritrovarti.
Ma attenzione: non tutti devono mollare tutto e girare il mondo. Non tutti devono diventare nomadi digitali.
Quello che importa è il coraggio di partire da una vita che non senti tua, qualunque forma abbia questa partenza.
Può essere cambiare lavoro. Può essere finire una relazione che non funziona. Può essere trasferirsi in un’altra città.
O può essere semplicemente iniziare a dire “no” a cose che non ti rappresentano e “sì” a cose che ti fanno sentire vivo.
Il punto non è la destinazione, non lo è mai stato. Il punto è il movimento. Il viaggio stesso.
Il punto è non rimanere bloccato in una vita che non ti appartiene per paura di quello che potrebbero pensare gli altri.
Perché alla fine, la vita è tua.
E nessuno può viverla al posto tuo.



